Psicologia clinica

Premessa

Prima di approfondire il modello scientifico a cui fa riferimento il dott. Ernesto Mangiapane, facciamo una premessa sulla diagnosi e sulla psicopatologia. La caratteristica principale della diagnosi basata su un modello psicoanalitico (o psicodinamico) è la valutazione dei sintomi (disturbo clinico, Asse I del DSM) non come una psicopatologia indipendente dalle caratteristiche del soggetto, ma rappresenta un disagio più profondo, il sintomo è il risultato di un conflitto inconscio.

L’etimologia della parola diagnosi deriva da conoscere (gnosis) attraverso (dia), e questo rimanda all’idea di un processo di raccolta di informazioni per mezzo di strumenti e procedure apposite. In psicologia “fare diagnosi” si riferisce ad un percorso che mira a tracciare un profilo del funzionamento mentale del paziente attraverso l’analisi dei suoi comportamenti, credenze, qualità relazionali.

Uno Psicologo ad orientamento psicoanalitico, analizza gli aspetti psicopatologici, cercando di stabilire qual è la struttura di personalità del paziente. Il termine psicopatologia è composto dalle parole psiche che indica il funzionamento mentale, pàthos sottolinea la sofferenza e lògos vuol dire discorso. La sofferenza (Pàthos) come aspetto imprescindibile dell’esistenza umana (Sarno 1994) è oggetto di un discorso (Logos) che non si esaurisce con etichette e classificazioni, ma si basa sulla capacità umana dell’intuire e il comprendere. Il Pathos può avere una doppia valenza: è il modo di essere nel mondo e di attribuire stati affettivi ed emotivi alle cose, l’altro versante riguarda la sofferenza, la quale se non è circoscritta e quindi invasiva, diventa disfunzionale.

La normalità la possiamo considerare in relazione a tre aspetti:

  1. Punto di vista ideale: la normalità è ciò che si auspica come la migliore situazione possibile.
  2. Norma statistica; anche questo è un concetto che deve soddisfare dei criteri.
  3. Momento storico: situazioni che in passato venivano chiamate patologiche oggi vengono considerati diversamente come ad esempio l’omosessualità.


La patologia è invece caratterizzata:

  • Fin quando c’è adattamento non c’è psicopatologia;
  • L’adattamento è dato da un buon funzionamento dell’organizzazione difensiva che permette al soggetto di proteggersi dall’angoscia;
  • Nel momento in cui un soggetto ha delle resistenze ad abbandonare degli schemi comportamentali non più adatti.

Siamo di fronte ad un quadro psicopatologico quando sono presenti dei sintomi e dei segni che sono attribuiti ad una determinata condizione alterata del funzionamento mentale.
Freud diceva che la distinzione tra normalità e patologia non si fonda su una contrapposizione, ma su un continuum in cui il presupposto è che tutti gli esseri umani sono fatti dagli stessi ingredienti, dipende dalla composizione di questi ingredienti, dalla qualità e quantità che dipende il benessere o la sofferenza. Oggi disponiamo di strumenti che ci permettono di affrontare la diagnosi psicodinamica; i principi che stanno alla base della psicodinamica sono:

  • ogni sintomo è il risultato di conflitti inconsci;
  • tutto ciò che osserviamo nella relazione clinica (come ad esempio i sintomi, il linguaggio, la corporeità) sono derivati dall’inconscio.


Il Modello scientifico

Il dott. Ernesto Mangiapane fa riferimento ad un modello di personalità basato sulla teoria contemporanea nord americana delle relazioni oggettuali, elaborata da Otto F. Kernberg negli anni ’70, integrata dalle ricerche empiriche di tipo evolutivo e dalla neurobiologia. La rivoluzione di Kernberg, come quella degli altri teorici delle relazioni oggettuali, dalla Klein in poi, specialmente Winnicott, Rosenfeld, Searles che hanno lavorato in campo clinico con l’obiettivo di mettere in evidenza importanza non solo delle relazioni oggettuali interiorizzate, cioè quelle modalità che nel corso dello sviluppo psicologico vengono riportate all’interno della soggettività della vita psichica individuale, ma i teorici delle relazioni oggettuali hanno sottolineato l’importanza della vita affettiva, come si dispiega fin dall’inizio della vita psichica (quindi l’importanza dell’allattamento, delle prime relazioni, della pelle, della comunicazione verbale e non verbali, ecc.). Kernberg ha coniugato tre modelli psicoanalitici: la teoria pulsionale di Freud, la teoria di Melanie Klein, la psicologia dell’Io di Margaret Mahler e di Edith Jacobson.

Nella storia di ognuno di noi si formano nel tempo i mattoni costitutivi della personalità, che sono rappresentazioni dell’Io (contenitore) dentro il quale vi sono le rappresentazioni di Sé, dell’Altro (oggetto) e gli stati affettivi che legano le due rappresentazioni. Ad esempio “un paio di giorni fa ho ricevuto un messaggio con la scritta “ti invito per fare una conferenza importante al Senato della Repubblica perché ho letto il tuo curriculum e lo trovo interessante, dobbiamo fare una proposta per modificare la legge sul Femminicidio”. Io penso sia una riconoscenza dei miei diritti e ho la rappresentazione di chi mi ha invitato, la rappresentazione di me e lo stato affettivo che le lega. Mi chiedo: “chi è questa persona?” è una persona positiva e mi chiedo anche “chi sono Io ?” una persona soddisfatta del proprio lavoro e operato, per cui sono contento e legato alla persona che riconosce i miei sforzi. Un riconoscimento o un apprezzamento attiva la rappresentazione di Sé come persona di valore, la rappresentazione dell’altro come un oggetto benevolo e quindi si sperimenterà un affetto legato al piacere e alla gratificazione di sentirsi amato; Se invece mi dicono “questo l’hai fatto male!” lo vedo come negativo e rivedo la mia posizione ed il mio operato.

Quindi, una frustrazione o una svalutazione può attivare la rappresentazione di Sé come persona priva di valore, la rappresentazione dell’altro come rifiutante e svalutante, e l’affetto esperito sarà nella gamma di dolore o rabbia”.

  1. Nella prima fase abbiamo una prima rappresentazione fusa di Sé con l’Oggetto. Nello stadio infantile, il bimbo non distingue tra Sé e l’Oggetto (non vi è una distinzione tra me e non me) fanno parte di un mondo rappresentazionale che sono ancora fuse. Il bambino sperimenta ripetutamente e regolarmente, nella interazione con chi si prende cura di lui, momenti in cui avvengono scambi a forte carica affettiva. Questi scambi portano, nel tempo, al costituirsi di specifiche rappresentazioni di Sé e degli Altri significativi, legate dallo specifico affetto sperimentato nell’interazione. Il Sé e la realtà esterna (oggetto) sono indifferenziate, ma distinguo tra gli stati affettivi positivi e negativi, perché alle origini dell’esperienza mentale di ciascuno vi è l’esperienza soggettiva del piacere/dolore (esperienza somatica) che precedono la capacità di costruire rappresentazioni della realtà e di Sé. Si capisce che soffre (piange) e passa alla gioia con grande rapidità; quindi c’è una rapida oscillazione degli stati emotivi. Le diadi non sono registrazioni accurate di ciò che avviene nella realtà storica del soggetto, bensì tendono a rappresentare immagini ed affetti polarizzati.
  2. Il bimbo sa differenziare tra Sé e Oggetto acquisito, c’è la funzione dell’Io per differenziare tra mondo interno ed esterno, ma è ancora sotto l’esperienza di stati positivi o negativi vissuti come riferimento a oggetti a loro volta positivi o negativi e da cui deriveranno rappresentazioni di Sé positive o negative. L’oggetto connesso all’esperienza positiva non è mai connesso all’oggetto dell’esperienza negativa. Per cui differenzia tra sé e l’oggetto, ma la mamma che lo gratifica non è la stessa che lo punisce. Cognitivamente è in grado di distinguerle, ma, in ottica rappresentazionale, la dominanza dello stato emotivo non rende la visione della stessa mamma unita, ma la divide in mamma buona e mamma cattiva. La stessa cosa vale per la rappresentazione di Sé.
  3. C’è un riconoscimento delle qualità affettive come riferite all’interezza dell’Altro e qualità affettive riferite all’interezza di me.


Nelle prime due fasi abbiamo un’affettività dovuta ad una cognitività non evoluta, nell’ultima abbiamo una cognitività dove all’interno si integrano gli affetti. Questo schema evolutivo, coincide con le modalità di organizzazione della personalità:

  • Psicotica
  • Borderline
  • Nevrotica


Per differenziare la personalità nevrotica, borderline e psicotica si fa riferimento al Il colloquio diagnostico strutturale che costituisce uno dei pochissimi contributi che esistono sul piano della teoria e della tecnica del colloquio, capace di darci degli spunti tecnici su come si affronta un colloquio psicologico, su quali sono le condizioni che il clinico deve tenere in considerazione per confrontarsi con il paziente, di misurarsi con i suoi vissuti, con la narrazione, le modalità personali relative alle problematiche che porta nell’ambito del setting della relazione clinica. Si parla di “diagnosi strutturale”, invece, per indicare uno strumento di valutazione del funzionamento mentale, basato sull’analisi delle tre istanze psichiche per eccellenza – Io, Es e Super-Io – unitamente alla descrizione delle strutture mentali che si manifestano in seguito agli esiti delle relazioni oggettuali interiorizzate. Secondo l’autore la psicopatologia della personalità è determinata dalle strutture psichiche che si formano sotto l’influsso di esperienze affettive con oggetti significativi primari. Infatti, integra un approccio descrittivo con uno psicodinamico centrato sulla formazione delle “strutture psichiche”, che egli identifica come configurazioni, relativamente stabili, di processi psichici.

L’intervista strutturale (Kernberg, 1984) focalizza l’attenzione su:

  • sintomatologia presente e passata;
  • organizzazione di personalità;
  • qualità dell’interazione con il clinico nel qui-e-ora
  • storia personale e familiare del paziente.


Attraverso la focalizzazione sui principali nodi conflittuali espressi e la valutazione delle difese, dell’esame di realtà e del conflitto circa l’identità, emergono dati relativi alla struttura di personalità predominante del paziente.

Inizialmente lo scopo del colloquio è quello di definire, sul piano della relazione interpersonale, con quale soggetto si ci trova di fronte. La condizione fondamentale di questo colloquio psicodinamico, non è semplicemente la diagnosi e la classificazione nosografica, perché queste ci servono soprattutto per andare a cogliere quegli elementi che possono essere adeguatamente trasformativi della storia del paziente. Questa diagnosi descrive il rapporto tra i derivati strutturali delle relazioni oggettuali interiorizzate, cioè quelle che appartengono all’interiorità più profonda del soggetto. La diagnosi strutturale è quindi l’organizzazione più profonda della struttura dell’individuo. La struttura, viene definita da Kernberg, come “l’organizzazione quasi permanente più profonda dell’individuo a partire dalla quale si organizzano le strutture dell’individuo sia patologiche che normali”. Quasi permanente perché la personalità si evolve nel corso del tempo. Le caratteristiche del colloquio diagnostico strutturale di Kernberg sono costituiti dai tre criteri strutturali che stanno alla base:

  • integrazione dell’identità;
  • operazioni difensive;
  • esame di realtà.


Successivamente approfondiremo i criteri strutturali e le caratteristiche del colloquio diagnostico strutturale.